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Counseling = consulenza psicologica?
di Tommaso Valleri, pubblicato il 08/10/2009, fonte AssoCounseling
tag: counseling, consulenza psicologia, esercizio abusivo
Non passa giorno che da più parti il counseling venga additato come prodotto meramente commerciale, i cui effetti devastanti si paleserebbero su utenti ignari che si avvicinano a questa pseudo-professionalità. Ignari appunto di trovarsi di fronte a ciarlatani o, nel migliore dei casi, a millantatori di competenze mai possedute e, magari, intimamente agognate.
Diciamocelo pure: il counseling è proprio malvisto. Dall'Ordine degli psicologi, dalle associazioni di categoria degli psicologi, dal mondo accademico in genere e - parliamoci chiaro - anche da tanti psicologi che, turandosi il naso, comunque non disdegnano di farsi assegnare docenze in corsi di formazione in counseling.
L'Ordine degli psicologi, indubbiamente, ha anche una sorta di 'dovere istituzionale' nel portare avanti la propria battaglia contro il counseling. Vallo a spiegare a quasi 80.000 psicologi che il lavoro non c'è e che, presumibilmente, la colpa è anche di come la psicologia professionale è stata gestita in Italia dalla fine degli anni '80 ad oggi. Ecco che il counseling viene loro in aiuto: tutto sommato è facile sparare a zero contro una categoria giovane e priva di mezzi adeguati (ma ci stiamo attrezzando) per rispondere ai continui attacchi.
L'accusa più frequentemente mossa al counseling o, per meglio dire, a chi utilizza questo termine, è quella di aver volutamente adottato una parola straniera così da arrecare confusione tra i potenziali utenti. E, soprattutto, per districarsi agevolmente tra le maglie della Legge di ordinamento della professionale di psicologo (L. 56/89). Maglie, a volerla dire tutta, già molto larghe di per sé perché così volle l'accordo di reciproca desistenza tra i medici e i quasi-regolamentati psicologi dell'epoca (competenze non troppo definite, accesso alla psicoterapia condiviso, norme transitorie che consentissero a certi accademici un agevole ingresso, etc.).
In sostanza il counseling non sarebbe nient'altro che un termine un po' esotico con cui in realtà si sta definendo la consulenza psicologica. E dunque, a mo' di corollario, si può dire - secondo loro - che il counseling sarebbe né più né meno che una riserva professionale definita ex art. 1, L. 56/89. Articolo che, per comodità dei lettori, vale la pena riportare:
La professione di psicologo comprende l'uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito.A voler essere proprio pignoli, si potrebbe dire che il termine 'consulenza' non figura nell'articolo in questione. Tuttavia non è in 'punta di legge' che voglio chiarire questo tema. E poi mi si potrebbe facilmente obiettare che la consulenza è un atto tipico di un qualunque professionista, dall'idraulico all'avvocato…
Il counseling è un intervento che, pur non sottraendosi dal far parte del grande universo 'psi' né tanto meno ritenendo di essere alieno dalla psicologia, è centrato fondamentalmente su presupposti - anche e soprattutto epistemologici - molto diversi dall'intervento psicologico.
Proviamo ad analizzare alcuni aspetti.
Diagnosi (dal greco dia-gnosis, atto che avviene per mezzo della conoscenza - qualunque conoscenza). Il counselor non effettua diagnosi psicologica ovvero la definizione di una patologia psichica classificata come tale (depressione maggiore, disturbo ossessivo-compulsivo, sindrome d'ansia con attacchi di panico, etc.). L'universo della psicopatologia è alieno al counseling in quanto il suo ambito di intervento risiede altrove.
Sostegno. E' vero, anche il counselor fa sostegno. Ma che tipo di sostegno fa? Sostiene il proprio cliente nelle scelte, sostiene il proprio cliente durante il percorso, sostiene il cliente sotto il profilo umano. Non lo sostiene sotto il profilo psicologico se intendiamo, con questo aggettivo, un particolare tipo di sostegno che rimanda direttamente a delle precise regole codificate proprie al colloquio psicologico, ovvero un intervento con una propria specifica metodologia.
Prevenzione. E' vero, anche il counselor fa prevenzione. A onor del vero il counseling si sviluppa proprio in un'ottica preventiva, così come peraltro già nel 1963 una Legge federale negli USA aveva sancito (The Community Mental Health Act, 1963 - Public Law 88-164). Ma non si occupa di prevenzione psicologica intesa come modalità di intervento atta a prevenire patologie a carico della psiche.
Sperimentazione, ricerca e didattica. Spero bene che i counselor (gli organismi di counseling, gli istituti formativi, le associazioni, etc.) facciamo attività di sperimentazione e ricerca! La faranno tuttavia nel counseling.
Quanto alla didattica il discorso è un po' diverso: questo appare essere un passaggio alquanto oscuro nel citato articolo 1, che si presta a più interpretazioni.
L'insegnamento di una scienza - in senso astratto - è libero e non sottoponibile a vincoli. L'articolo 33, 1º comma, della Costituzione sancisce che L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento. I Padri Costituenti intesero proprio questo articolo a garanzia della libertà di manifestazione concettuale e, al tempo stesso, della effettiva libertà della manifestazione organizzativa e strumentale dell'insegnamento, come peraltro ribadito dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 16/1980) che è più volte intervenuta in materia.
Un soggetto che volesse insegnare psicologia al liceo socio-psico-pedagogico, non si vedrebbe richiedere di certo - come requisito vincolante - l'iscrizione all'Ordine degli psicologi, quanto l'abilitazione all'insegnamento potendo avere anche, di partenza, il diploma magistrale.
Ma anche all'Università il discorso non cambia: il DM 231/97, pienamente operativo a partire dall'anno accademico 2001/02, stabilisce che, ad esempio, la laurea in sociologia è titolo di ammissione ai concorsi a cattedra per la classe 36/A: filosofia, psicologia e scienze dell'educazione.
Ora non credo che un counselor abbia intenzione di formarsi al counseling per insegnare psicologia. Ma, in qualità di libero cittadino - prima che di counselor - potrà farlo nei modi previsti dalla Legge che, ripeto, non vincola affatto al possesso dell'iscrizione all'Ordine degli Psicologi.
Le associazioni di categoria degli psicologi (ve ne sono alcune di veramente molto attive!) non sono da meno nell'elargire critiche. E, forti di non avere vincoli istituzionali (come l'Ordine), spesso e volentieri rincarano la dose. Qui, a dire il vero, l'attacco si rivolge prevalentemente alla scuole di formazione, ree di doppiogiochismo in quanto da una parte formano gli psicoterapeuti e gli psicologi e dall'altra formano i loro diretti (a detta loro) concorrenti. Il tutto, naturalmente, per ragioni meramente economiche.
Certo è, che leggendo alcune testimonianze reperibili facilmente in rete, la voglia di accodarsi al coro di dissenso sarebbe molta. Navigando è possibile imbattersi nell'astrocounseling, nel trance dance counseling, nel counseling secondo il modello sufi ed altre amenità di vario genere. Possiamo trovare inoltre counselor che dichiarano di fare sostegno psicologico, counselor esperti in psicosomatica e ancora scuole che formano (e sfornano) counselor nel giro di qualche mese o, peggio ancora, di qualche giorno.
A me che sono sia un counselor sia un dirigente di un'associazione professionale di counseling, viste le premesse, verrebbe voglia di gettare la spugna… Sì, insomma… ragazzi, mi sono sbagliato: se questo è counseling cambio mestiere. Quasi quasi ci rinuncio…
Tuttavia vorrei far riflettere i miei lettori che, in questo clima di incertezza normativa, i primi ad essere penalizzati sono proprio i counselor. Almeno quelli che, seriamente, si sono formati e che, altrettanto seriamente, svolgono la loro attività con competenza e passione. Ma, soprattutto, con la consapevolezza dell'intervento che stanno svolgendo.
Il counseling infatti non è un intervento di consulenza psicologica. Questo termine, consulenza, è molto lontano dal counseling che ritiene - se è vero che in italiano consulente, esperto e perito sono più o meno parole intercambiabili - di non essere esperto di niente, se non di gestione della relazione con l'altro. Ma questa esperienza di gestire le relazioni non viene utilizzata per dare risposte a quesiti posti dal cliente. Viene utilizzata per accompagnare il cliente in un percorso decisionale, di crescita, di maturazione, dove è il cliente il soggetto attivo che sceglie e decide.
Ecco. Il soggetto attivo. Non è da sottovalutare, da un punto di vista epistemologico, di come il counseling nasca in netto contrasto con il così detto modello medico. Ovvero con quel paradigma di intervento che vede da una parte il medico, l'esperto conoscitore del problema che, a seguito di una raccolta di dati anamnestici, è in grado di effettuare una diagnosi e predisporre le necessarie cure volte alla guarigione del paziente; dall'altra il paziente, un soggetto prevalentemente passivo che subisce, appunto, l'azione del medico.
La persona che si ha in mente nell'intervento di counseling è essenzialmente positiva e attiva in quanto sempre coinvolta in un processo di auto-attuazione e di auto-realizzazione. Da una parte c'è l'individuo che diventa l'Io narrante (il cliente) che narra, appunto, il suo problema. Dall'altra parte l'Io che ascolta (il counselor) che di conseguenza non ricopre solo la funzione di catalizzatore delle emozioni del cliente, ma è egli stesso coinvolto nel processo tra due individui all'interno del quale vi è il riconoscimento reciproco dell'Altro.
Un'altra accusa rivolta di sovente ai counselor è quella di non dare sufficienti garanzie in termini di formazione, serietà deontologica, etc. ai propri utenti. Questo perché, in un clima di indefinitezza normativa, chiunque può definirsi counselor e asserire di esercitare il counseling.
Su questo, in parte, non posso che concordare. Ma, d'altronde, non è una intera categoria che può essere colpevolizzata se il legislatore, in questo momento storico, non si cura del counseling e dei counselor. Ai counselor, a dire il vero, piacerebbe molto che il legislatore cominciasse ad occuparsi anche di loro…
Tuttavia è opportuno effettuare dei distinguo in quanto esistono degli specifici organismi che, pur avendo un carattere del tutto privatistico, si occupano di accreditare (intendendo l'accreditamento come un atto del tutto individuale e volontario) singoli professionisti. Professionisti che devono essere in possesso e soddisfare determinati requisiti: formativi, deontologici, etc.
Per potersi iscrivere ad un'associazione professionale di categoria (che non voglia solo definirsi tale) è necessario aver effettuato un percorso formativo ben determinato (ogni associazione ha facoltà di decidere quelli che sono i criteri minimi). E' altresì necessario aver effettuato un percorso personale (individuale o di gruppo) costantemente accompagnato da supervisione (didattica prima, professionale poi). Successivamente bisogna poi effettuare un tirocinio pratico, anch'esso accompagnato dalla supervisione di un tutor. Infine sostenere e superare un esame di valutazione professionale. Questo è il primo passo per iscriversi ad un'associazione professionale di categoria.
Poi però bisogna mantenere l'iscrizione. A differenza dell'Ordine degli psicologi dove - scusate i toni volutamente polemici - è sufficiente pagare la quota annuale, in un'associazione professionale di categoria per rimanere soci professionisti chiediamo il rispetto di precise regole codificate, il mantenimento di standard qualitativi alti, l'obbligo di aggiornamento permanente, l'obbligo di stipulare una precisa assicurazione che copra la responsabilità professionale e civile. Oltre, naturalmente, il rispetto e la condivisione del codice deontologico dell'associazione (quest'ultima cosa vale anche per gli psicologi, naturalmente). E, altra cosa importante da sottolineare, tutti questi requisiti devono essere ostensibili.
Qualora uno di questi requisiti non venga soddisfatto, l'iscritto è cancellato dall'associazione e, qualora intenda riscriversi, dovrà sostenere nuovamente l'esame. Bene, ma può continuare a fare il counselor, direte voi. Certo, può continuare in quanto la professione continua ad essere non regolamentata, ma lo fa senza avere l'accreditamento di un organismo serio e credibile.
E, ripeto, la mancanza di una norma specifica non è imputabile ai counselor che, semmai, risultano essere la parte soccombente.
E a chi intende pontificare sostenendo che il modello accreditatorio delle associazioni professionali non dà sufficienti garanzie agli utenti, ricordo, a titolo meramente informativo, che paesi come l'Inghilterra, gli Stati Uniti e in parte la Francia si poggiano proprio su tale sistema. Il controllo infatti non avviene a monte (lì il valore legale del titolo di studio non esiste), ma è il singolo professionista che deve essere in grado di dimostrare ciò che sa fare. E sono gli organismi privati che rilasciano le certificazioni di competenza - le associazioni, appunto - a valutare in itinere le capacità e le competenze del professionista.
Vorrei concludere queste brevi riflessioni - che ho cercato di condividere con tutti voi - con un appello ai counselor: l'unica arma in nostro possesso è la serietà. Cerchiamo di affermarci seriamente nel rispetto delle altre professioni e nella condivisione di valori professionali solidi, duraturi, ma anche sufficientemente elastici per poter stare al passo con la società che cambia.